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articolo 18, banche, Camusso, cassa integrazione, disoccupazione, fallimenti delle imprese, finanza, governo Monti, Ikea, Lars Petersson, Marcegaglia, riforma del mercato del lavoro, spesa pubblica, stato sociale
Aumento della disoccupazione, diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, erosione crescente del risparmio, numero preoccupante dei fallimenti delle imprese, perdita di competitività del sistema Italia, aumento della cassa integrazione, difficoltà oggettive dei giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro, il caso degli esodati, impossibilità dei 40-50enni estromessi dal mercato del lavoro di ritornarvi, la sempre minor capacità di produrre ricchezza se non da rendite di grandi capitali preesistenti, incapacità di arginare la voragine della spesa pubblica e di alienare i beni statali non necessari, carico fiscale ormai insostenibile, aumenti incontrollati dei costi dell’energia, a fronte della mancanza di una vera politica energetica, sono tutti segnali evidenti del tracollo dello stato sociale.
Nel frattempo, tra gli squittii della Camusso ed i gorgheggi della Marcegaglia, il governo Monti si appresta a varare il Titanic della riforma del mercato del lavoro, destinato a scontarsi inesorabilmente con l’iceberg della realtà. La grande orchestra dei media continua a suonare le lodi del comandante, mentre i triunviri Alfano, Bersani e Casini, saliti dalla sala macchine al ponte passeggeri, si godono il paesaggio, ben lieti di essere stati esautorati dallo scomodo ruolo che avrebbe potuto essere loro riservato.
I piccoli ritocchi all’articolo 18, l’ulteriore irrigidimento sulle norme che regolano l’inserimento dei giovani, la mancanza di un sistema in grado di rilanciare l’economia, pongono sempre sotto i riflettori uno stato sociale che deve cambiare pelle. E deve farlo in fretta. Se stendiamo un velo pietoso sui fallimentari tentativi dello stato di improvvisarsi imprenditore, lo stato sociale ha sempre scaricato su imprese, commercianti, artigiani e professionisti il costo di una pace sociale e di un tacito foraggiamento del sistema deputato al suo funzionamento. Finché il sistema era in grado di produrre ricchezza riusciva a sostenere questo fragile equilibrio. Oggi la ricchezza scarseggia, falcidiata da un opulento sistema bancario che deve coprire i disavanzi, prima di finanziare la rinascita del Paese.
Lo stato sociale deve perciò assumere il ruolo di armonizzatore del sistema, stendere reti perché i singoli soggetti dell’economia possano collaborare in un quadro costruttivo, utilizzando le moderne tecnologie per far sì che le singole competenze si integrino e si completino ottenendo nuove sinergie. Deve riconoscere nuove professionalità e costruire un nuovo un “humus” dove possano crescere e proliferare. Deve capire che “ingessare” il lavoratore nell’impresa non è la soluzione, ma piuttosto deve dargli armi e competenze, oltre che leggi adeguate, perché possa essere “appetibile” per un nuovo mercato del lavoro. Deve cogliere i segnali che provengono dai nuovi scenari strategici, non solo per non mettere loro i bastoni fra le ruote, ma per aiutarli a raggiungere la massa critica in un contesto internazionale che potrebbe invece decretarne la prematura scomparsa.
Una notizia in controtendenza ci informa che Ikea decide di investire in Italia affidando nuove commesse a produttori italiani, sfruttando le capacità imprenditoriali del Belpaese. Chissà se mai qualcuno penserà prima o poi di proporre a Lars Petersson, amministratore delegato di Ikea Italia, il ruolo di Presidente del Consiglio?