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mondo del lavoro, occupazione giovanile, percorsi formativi, precari, precariato, precarietà, professionalità, riforma del lavoro, sfruttamento giovanile, tempo determinato, tempo indeterminato
Nell’ormai imminente varo della riforma del lavoro sembra chiara la volontà di rendere sempre più oneroso per le imprese il ricorso al lavoro a tempo determinato. Favorendo così il lavoro a tempo determinato e quindi l’occupazione, soprattutto dei giovani. Sembra lapalissiano. Ma così non è!
Sono svariati i motivi per cui un’azienda può ricorrere ad un rapporto a tempo determinato e ci hanno spesso illustrato con dovizia di particolari le condizioni, al limite dello sfruttamento, di certe realtà lavorative. Ben venga quindi una norma che regolamenti in modo più chiaro questa fattispecie: che il lavoro debba essere dignitoso lo sancisce la Costituzione ed è un sacrosanto diritto di tutti. Anche dei giovani al primo impiego. Spesso dietro a queste realtà si nascondono però imprese precarie e nessuna impresa instabile potrà mai offrire un lavoro stabile. Nemmeno per legge. Queste tipologie di aziende che ricorrono oggi al lavoro precario nel nostro Paese lo sposteranno in altri paesi, come Romania, Bulgaria, India. Con buona pace di tutti ed un ulteriore perdita di posti di lavoro in Italia.
Ma dietro al lavoro a tempo determinato si nasconde anche una ben diversa realtà, di cui non si parla quasi mai, ed il Legislatore pare non tenerne conto. Abbiamo già visto come le caratteristiche del contesto siano mutate e sono sempre più presenti aziende con caratteristiche che solo un decennio or sono non esistevano. Queste aziende si rivolgono al mercato del lavoro senza riuscire a trovare le professionalità cercate. Non solo la scuola, ivi compresa l’università, non sono al passo con i tempi, non riuscendo a fornire una preparazione adeguata, ma le specializzazioni richieste sono sempre più caratterizzate, tanto che sarebbe pressoché impossibile realizzare piani di studi finalizzati. A questo punto le aziende assumono persone, per lo più giovani, che sulla carta hanno potenziali caratteristiche che, una volta sviluppate, potrebbero consentire loro di ricoprire certe posizioni. Le aziende si impegnano così a fornire un percorso formativo che spesso si rivela molto oneroso, rendendo i neoassunti “improduttivi” anche per lunghi periodi. Al termine di questo periodo formativo è doverosa una verifica al fine di capire se le potenzialità dimostrate in fase di assunzione erano veritiere. Solo allora l’azienda si rende disponibile a trasformare l’assunzione in un lavoro a tempo indeterminato.
Non tener conto di questi percorsi, rendendo ancora più oneroso l’inquadramento a tempo determinato, non farebbe che rendere più difficile l’occupazione giovanile, che non troverebbe più in queste realtà la possibilità di una reale crescita professionale ed un inquadramento nel mondo del lavoro, anche in quello del futuro che oggi risulta appena abbozzato.